Antiche tradizioni rinvenute alla Serra di Lerici ed a Telaro.
Si dice che nel promontorio del Caprione esista un luogo indicato come “Maran”, ove ”se ghé aressenta”. Il verbo “aressentie” si legge nel “Vocabolario del Dialetto Lericino” col significato di “risuonare di voci o di suoni, verificarsi di fatti misteriosi, succedere cose strane, come l’apparire di spettri ecc.”. Il verbo si ritrova come “aresentie” nel “Nuovo Dizionario del Dialetto Spezzino” di Franco Lena, e come “arsentire” nel “Vocabolario dei Dialetti di Sarzana, Fosdinovo, Castelnuovo Magra”. Il luogo dovrebbe corrispondere alla località nota come “Marana”, che si trova a Monte Marcello, luogo ove cadono molti fulmini, e dove si può vedere un albero di pino che è cresciuto in tondo. Fenomeni simili sono stati notati in alcuni altri punti del pianeta. La notte i cinghiali vanno a riposare all’interno della zona delimitata dall’albero piegato e vi lasciano i loro escrementi . Chi ha trasmesso questo racconto (un ingegnere originario della Serra) legava questa tradizione ad una analoga di Telaro. Qui i vecchi raccontavano che un certo Maran , utilizzando il “bastone di comando” in una sola notte fece zappare al diavolo un terreno di tremila metri quadri, e costruirvi anche una casa con muri a secco. Va detto che, considerata la frammentazione dei nostri appezzamenti di terreno, quella misura doveva considerarsi veramente grande. Nel dialetto esiste il termine “marana” per indicare una pecora giovane e forte, originaria della Maremma, che bela in modo rauco e profondo. Nelle mitologie slave i termini mara – marana – mora - morana rappresentano una divinità legata all’inverno, al buio, alla notte, al sottosuolo, alla morte. Vi sarebbe quindi nel promontorio, e in particolare a Telaro, la tradizione del “bastone di comando”, per il quale “er diao i va via decaminando se te gà en ca er baston de comando”. Quei pochi che possedevano questo bastone erano invidiati, perché questo oggetto teneva lontani diavoli, streghe, malattie. Chi lo possedeva non ne svelava il segreto. Il fabbricarlo non era poi tanto difficile, perché, stando ad un antico manoscritto, era sufficiente attenersi scrupolosamente a quanto segue: “Tagliare nel giorno del Sole, cioè la Domenica, la prima di un qualsiasi plenilunio (si noti la similitudine astronomica con una parte del calcolo della data della Pasqua) un ramoscello di noce lungo quanto la distanza che c’è dall’estremità del dito indice al gomito di chi lo tagliava, avendo cura che non vi fossero attaccati butti o ramoscelli. Si doveva riempire un vaso di terracotta con acqua di sorgente, immergendovi quindi cinque ramoscelli di pungitopo con le bacche rosse. Il mercoledì seguente, con una penna d’oca maschio, e con inchiostro nero, dovevano essere disegnati, alla base del vaso, tre cerchi distanti un centimetro l’uno dall’altro, nella metà si disegnava la Luna, Saturno con l’anello ed il Sole, che dovevano essere ricongiunti fra di loro da linee che formavano un triangolo avente per vertice il Sole; in alto si disegnava un cerchio contenente un triangolo e dentro di questo un occhio. Il bastone doveva essere tenuto alle due estremità da una fanciulla vergine ed il costruttore doveva aspergerlo dell’acqua contenuta nel vaso, pronunciando tre volte la seguente preghiera: “O potente Adonai date a questa verga la forza di scacciare il male e di generare il bene per la gloria vostra e la pace di chi vi adora. Amen.” Questo rito era ovviamente condannato dalla Chiesa e molte leggende nascevano attorno ad esso. Si diceva anche che i segni relativi alla costruzione del “bastone di comando” fossero incisi su una grande roccia, esistente a fianco della casetta costruita dal diavolo su comando di Maran. La tradizione dei “bastoni di comando” è diffusa nella Val d’Aosta, e molti antiquari li cercano in tutti i luoghi più reconditi delle valli.