Affondamento “Andrea Doria”: quello che non si dice.
Sulla manovra.
Nell’agosto 1956, all’arrivo ad Hampton Roads (Virginia), salì a bordo dell’ <Oscar Sinigaglia> la Coast Guard e fece firmare a tutti gli ufficiali di coperta – compreso me, allievo ufficiale - una precisa disposizione, cioè che non si dovevano fare le manovre per prevenire le collisioni in mare fidandosi dei dati del Radar. Fra gli ufficiali vi era il comandante lericino Ghiggini Raimondo, allora Secondo Ufficiale. Perché di questo ammonimento? Perché ciò aveva provocato l’errata manovra di virata a sinistra della nave italiana, contravvenendo alla regola generale di effettuare sempre la virata a destra per mettersi in sicurezza, cosa che fece lo <Stockholm>. Perché gli ufficiali della <Doria> furono indotti a questa manovra? Perché la “linea di fede” del loro Radar aveva un errore a sinistra. Quindi, se questa falsa posizione fosse stata vera, con una accosta a sinistra ci si sarebbe allontanati dalla nave che si stava avvicinando, facendo un passaggio “verde-verde” a distanza di sicurezza. Nel linguaggio nautico il passaggio sopradetto sta a significare fianco destro di una nave col fianco destro dell’altra. Purtroppo non era così, perché la <Andrea Doria> si trovava in posizione più favorevole per un passaggio “rosso-rosso”, cioè con il proprio fianco sinistro e con il fianco sinistro dello <Stockholm>. La virata a sinistra della “Andrea Doria” vanificò così l’effetto di sicurezza della estrema virata a destra dell’altra nave. Ad entrambe le navi va imputato il fatto di aver manovrato all’ultimo momento ed alla <Doria> va inoltre imputato di non aver fatto precedere il fischio di accostata a sinistra, obbligatorio quando si decide di manovrare in difformità alla regola base, e di non avere atteso la risposta del fischio di conferma e accettazione della nave che viene in contro-via, per procedere con l’accostata a sinistra. Non essendovi più i tempi per seguire le regole, si vira sempre “tutto a dritta”. All’ufficiale di rotta dello <Stockholm> va imputato l’errore di non essersi accorto di avere sul Radar una scala diversa rispetto a quella che aveva impostata. Ciò rientra nell’errore umano, e proprio per superare questo tipo di errore, la regola di comportamento fondamentale rimane ancora oggi, nonostante l’elettronica, la virata a destra. Così rimane sempre valida la regola che, dopo aver fatto l’avvistamento di una nave che comporti rischio di collisione, ogni manovra difforme dalla regola generale venga segnalata col fischio, e si debba attendere la risposta col fischio dell’altra nave, per poterla iniziare. Si deve concludere che l’ufficiale di rotta italiano è stato, sfortunatamente, la prima grande vittima dell’introduzione dell’elettronica nella condotta della navigazione. Se in quelle stesse condizioni nautiche si fosse trovato il “Rex”, la tragedia non sarebbe avvenuta.
Sulle cause dell’affondamento.
Circa le cause per cui la <Andrea Doria>, dopo la collisione, affondò, nel 1962 ho potuto ascoltare una magistrale lezione all’Accademia Navale di Livorno, tenuta da parte del Maggiore del Genio Navale Montechiaro, docente di costruzione navale del 27° Corso Allievi Ufficiali di Complemento “Laureati” del Corpo delle Capitaneria di Porto. I punti fermi di questa trattazione sono stati:
a) l’uomo deve imparare dai propri errori
b) l’affondamento del “Titanic” ha insegnato la necessità della compartimentazione verticale nelle navi;
c) l’affondamento della <Andrea Doria> ha insegnato che:
- le prese d’acqua di raffreddamento devono essere comunicanti, cioè le prese d’acqua di babordo devono fornire acqua alle macchine di tribordo (se così fosse stato le pompe di esaurimento del lato sinistro della nave, troppo inclinata, avrebbero potuto funzionare ed avrebbero potuto riequilibrare la nave, mentre invece si bruciarono subito perché non ricevevano acqua, in quanto le prese a mare erano subito emerse oltre il livello del mare);
- occorre avere a bordo delle grandi navi passeggeri un ingegnere navale, perché nessun ufficiale di coperta aveva allora le capacità tecniche per realizzare immediatamente che l’angolo di inclinazione subitaneo della nave (subito 18° e poi 21°) non poteva esser dovuto dall’acqua imbarcata, ma all’aver imbarcato la prora rompighiaccio dello <Stockholm>, distaccata di netto, per “taglio”, dalla nave investitrice;
- i doppifondi della nave, del lato destro e del lato sinistro della nave, non dovrebbero essere più resi comunicanti mediante l’apertura delle “paratie- stagne di bilanciamento” o delle “valvole di bilanciamento”, manovrabili dall’equipaggio, se non col consenso di un ingegnere navale capace di valutarne le conseguenze; se non fosse stata fatta questa manovra – raccomandata invece dalle istruzioni operative del “manuale di sicurezza” in caso di collisione, redatte dal Cantiere Ansaldo – la nave sarebbe rimasta inclinata ma non sarebbe affondata, perché l’acqua non avrebbe potuto allagare il lato sinistro della nave, ancora perfettamente integro. La presenza a bordo di un ingegnere navale avrebbe potuto impedire che fosse attuata questa manovra, certamente valida se la nave non è troppo inclinata, ma inutile quando la nave è già molto inclinata, perché l’acqua non può andare in salita, se non per l’azione di pompe;
- è necessario che sulle grandi navi passeggeri vi siano sempre, in servizio in plancia, due ufficiali di guardia;
- non è in ogni caso possibile rendere più fitta la compartimentazione delle navi passeggeri, per non compromettere la vivibilità degli spazi interni;
- innovazioni si potranno fare nei ponti superiori alle porte stagne (infatti successivamente si crearono le “splash-door” per limitare lo scorrimento delle acque a nave inclinata).
Le deficienze del progetto costruttivo.
Già nel viaggio inaugurale della <Andrea Doria>, iniziato il 14 aprile 1953, si ebbe uno sbandamento eccessivo, arrivato a 28°, quando la nave fu colpita da un’onda di una certa altezza al largo del battello-fanale di Nantucket, perché forti tempeste furono incontrate nell’avvicinamento a New York. Emerse quindi un problema di altezza metacentrica, che diventava pericoloso quando i serbatoi di acqua ed i serbatoi di combustibile della nave si svuotavano per i consumi di una lunga traversata, come quella dell’Atlantico. Il manuale del costruttore prevedeva infatti che i serbatoi del combustibile venissero riempiti di acqua di mare man mano che si svuotavano! Ciò non si fa mai nella pratica marittima e si ricorse così all’imbarco di migliaia di pani di piombo per rendere più stabile la nave nell’ultima tratta della navigazione atlantica. Analogo problema si riscontrò nella <Leonardo da Vinci>. Con il carico di migliaia di pani di piombo si modificò il pescaggio della nave, e fu necessario far riprogettare nuove eliche da uno studio olandese, sostituite poi a Genova presso i Cantieri OARN, per migliorare la resa dei propulsori nella situazione idrodinamica dovuto al nuovo pescaggio. Questo difetto fece sì che, alla fine dell’estate del 1964, al rientro nel Mediterraneo della <Leonardo>, provenendo da New York, navigando con vento fresco proprio esattamente in poppa e con le pinne stabilizzatrici disinserite (per via del premio spettante al Comandante che riusciva a ridurre i consumi) l’ufficiale di guardia della <Leonardo> dovette fare una accostata all’altezza di Cabo San Sebastian, e così la nave subì l’impatto di tre onde successive che la fecero inclinare pericolosamente, causando il ferimento, anche grave, di centinaia di passeggeri . Ingiustamente l’ufficiale di guardia fu sbarcato con nota di censura sul libretto di navigazione, perché aveva manovrato con troppo angolo di timone! Tuttavia ciò non impedì, a questo bravo ufficiale (ora scomparso), di diventare comandante di grandi navi da crociera che operavano nei Caraibi.
Sulle responsabilità dei macchinisti della <Andrea Doria>.
Recentemente, sulla stampa locale, è apparso un articolo in cui si narrava che uno dei macchinisti, deceduto da poco, aveva scritto che egli moriva con il dubbio di aver fatto tutto quanto si potesse fare per salvare la nave (pur essendo riuscito più volte ad entrare ed uscire dalla nave inclinata per recuperare documenti importanti come i libretti di navigazione dell’equipaggio). Alla luce delle considerazioni sopraddette, non sembra si possano imputare colpe ai macchinisti della nave. Esotericamente parlando, poiché in quel momento la marineria italiana era la più virtuosa in termini di rischiosità, e i Lloyds di Londra avrebbero dovuto ridurre i premi assicurativi per le navi battenti bandiera italiana, serviva un grosso sinistro marittimo a una qualche nave italiana. Meglio se si trattava di una delle “ammiraglie” della flotta, perché così si sarebbe immediatamente parificato il rischio con le altre bandiere del mondo. Su questi argomenti, esistono le competenze per farne un ampio dibattito?
Sulle cause dell’affondamento.
Circa le cause per cui la <Andrea Doria>, dopo la collisione, affondò, nel 1962 ho potuto ascoltare una magistrale lezione all’Accademia Navale di Livorno, tenuta da parte del Maggiore del Genio Navale Montechiaro, docente di costruzione navale del 27° Corso Allievi Ufficiali di Complemento “Laureati” del Corpo delle Capitaneria di Porto. I punti fermi di questa trattazione sono stati:
a) l’uomo deve imparare dai propri errori
b) l’affondamento del “Titanic” ha insegnato la necessità della compartimentazione verticale nelle navi;
c) l’affondamento della <Andrea Doria> ha insegnato che:
- le prese d’acqua di raffreddamento devono essere comunicanti, cioè le prese d’acqua di babordo devono fornire acqua alle macchine di tribordo (se così fosse stato le pompe di esaurimento del lato sinistro della nave, troppo inclinata, avrebbero potuto funzionare ed avrebbero potuto riequilibrare la nave, mentre invece si bruciarono subito perché non ricevevano acqua, in quanto le prese a mare erano subito emerse oltre il livello del mare);
- occorre avere a bordo delle grandi navi passeggeri un ingegnere navale, perché nessun ufficiale di coperta aveva allora le capacità tecniche per realizzare immediatamente che l’angolo di inclinazione subitaneo della nave (subito 18° e poi 21°) non poteva esser dovuto dall’acqua imbarcata, ma all’aver imbarcato la prora rompighiaccio dello <Stockholm>, distaccata di netto, per “taglio”, dalla nave investitrice;
- i doppifondi della nave, del lato destro e del lato sinistro della nave, non dovrebbero essere più resi comunicanti mediante l’apertura delle “paratie- stagne di bilanciamento” o delle “valvole di bilanciamento”, manovrabili dall’equipaggio, se non col consenso di un ingegnere navale capace di valutarne le conseguenze; se non fosse stata fatta questa manovra – raccomandata invece dalle istruzioni operative del “manuale di sicurezza” in caso di collisione, redatte dal Cantiere Ansaldo – la nave sarebbe rimasta inclinata ma non sarebbe affondata, perché l’acqua non avrebbe potuto allagare il lato sinistro della nave, ancora perfettamente integro. La presenza a bordo di un ingegnere navale avrebbe potuto impedire che fosse attuata questa manovra, certamente valida se la nave non è troppo inclinata, ma inutile quando la nave è già molto inclinata, perché l’acqua non può andare in salita, se non per l’azione di pompe;
- è necessario che sulle grandi navi passeggeri vi siano sempre, in servizio in plancia, due ufficiali di guardia;
- non è in ogni caso possibile rendere più fitta la compartimentazione delle navi passeggeri, per non compromettere la vivibilità degli spazi interni;
- innovazioni si potranno fare nei ponti superiori alle porte stagne (infatti successivamente si crearono le “splash-door” per limitare lo scorrimento delle acque a nave inclinata).
Le deficienze del progetto costruttivo.
Già nel viaggio inaugurale della <Andrea Doria>, iniziato il 14 aprile 1953, si ebbe uno sbandamento eccessivo, arrivato a 28°, quando la nave fu colpita da un’onda di una certa altezza al largo del battello-fanale di Nantucket, perché forti tempeste furono incontrate nell’avvicinamento a New York. Emerse quindi un problema di altezza metacentrica, che diventava pericoloso quando i serbatoi di acqua ed i serbatoi di combustibile della nave si svuotavano per i consumi di una lunga traversata, come quella dell’Atlantico. Il manuale del costruttore prevedeva infatti che i serbatoi del combustibile venissero riempiti di acqua di mare man mano che si svuotavano! Ciò non si fa mai nella pratica marittima e si ricorse così all’imbarco di migliaia di pani di piombo per rendere più stabile la nave nell’ultima tratta della navigazione atlantica. Analogo problema si riscontrò nella <Leonardo da Vinci>. Con il carico di migliaia di pani di piombo si modificò il pescaggio della nave, e fu necessario far riprogettare nuove eliche da uno studio olandese, sostituite poi a Genova presso i Cantieri OARN, per migliorare la resa dei propulsori nella situazione idrodinamica dovuto al nuovo pescaggio. Questo difetto fece sì che, alla fine dell’estate del 1964, al rientro nel Mediterraneo della <Leonardo>, provenendo da New York, navigando con vento fresco proprio esattamente in poppa e con le pinne stabilizzatrici disinserite (per via del premio spettante al Comandante che riusciva a ridurre i consumi) l’ufficiale di guardia della <Leonardo> dovette fare una accostata all’altezza di Cabo San Sebastian, e così la nave subì l’impatto di tre onde successive che la fecero inclinare pericolosamente, causando il ferimento, anche grave, di centinaia di passeggeri . Ingiustamente l’ufficiale di guardia fu sbarcato con nota di censura sul libretto di navigazione, perché aveva manovrato con troppo angolo di timone! Tuttavia ciò non impedì, a questo bravo ufficiale (ora scomparso), di diventare comandante di grandi navi da crociera che operavano nei Caraibi.
Sulle responsabilità dei macchinisti della <Andrea Doria>.
Recentemente, sulla stampa locale, è apparso un articolo in cui si narrava che uno dei macchinisti, deceduto da poco, aveva scritto che egli moriva con il dubbio di aver fatto tutto quanto si potesse fare per salvare la nave (pur essendo riuscito più volte ad entrare ed uscire dalla nave inclinata per recuperare documenti importanti come i libretti di navigazione dell’equipaggio). Alla luce delle considerazioni sopraddette, non sembra si possano imputare colpe ai macchinisti della nave. Esotericamente parlando, poiché in quel momento la marineria italiana era la più virtuosa in termini di rischiosità, e i Lloyds di Londra avrebbero dovuto ridurre i premi assicurativi per le navi battenti bandiera italiana, serviva un grosso sinistro marittimo a una qualche nave italiana. Meglio se si trattava di una delle “ammiraglie” della flotta, perché così si sarebbe immediatamente parificato il rischio con le altre bandiere del mondo. Su questi argomenti, esistono le competenze per farne un ampio dibattito?