TELARO o TELLARO?
Il toponimo è sempre stato scritto con una sola <l> ed avendolo scritto così molti hanno considerato ciò un errore di ortografia. La doppia <l> si è venuta a formare con la diffusione della capacità di leggere e scrivere diffusasi fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e con il contemporaneo disuso del dialetto. Il toponimo è indicato con una sola <l> anche nel “Vocabolario del dialetto di Telaro” di Ennio Callegari e Guglielmo Varese, edito nel 1991. Colombo Bongiovanni, nel “Vocabolario del dialetto lericino” scrive invece il toponimo con due <l>, soggiacendo quindi alla nuova tendenza, per cui molte consonanti all’interno di parola vengono oggi raddoppiate, pensando che ciò sia corretto. Invero la prima citazione del toponimo si trova in una pergamena dell’Archivio di Stato di Torino – Fondo Abbazia del Tino – con la quale il 9 Marzo 1276 viene fatta concessione livellaria delle terre di Portesone da parte dell’Abate e del Priore del Monastero di San Venerio a favore di Portesone del fu Pietro Sardo. Una di dette terre è nominata “ad Telarum” (pag.247, rigo 6 di Giorgio Falco – Le carte del Monastero di S.Venerio – Biblioteca Soc. Storica Subalpina, Torino).
Giovanni Sercambi, nelle “Croniche”, narra di come alcune galee del re di Francia nell’agosto del 1410 “andaro a Telaro in nella Riviera di Genova”, ma furono respinte ed ebbero quaranta morti. Il Poggi, nei suoi libri “Lerici e il suo castello” scrive che nel 1483 figurano fra i discriminati della Guerra di Pietrasanta uomini di Telaro, ed ancora nel 1486 scrive che viene vietato “agli uomini di Telaro” di esportare i loro vini al di là della Magra. In atto del 24 Giugno 1676 del Notaro Giuseppe Steneri di Sarzana si leggono le pertinenze della “Opera di S.Giorgio di Telaro” (documento mostratomi dal prof. Ennio Silvestri di Ameglia). In atto del 5 Giugno 1713, che contiene una supplica dei capistrada telaresi Pietro Gerolamo Scordi e Carlo Bordigone si legge “di questo luogo del Telaro”. Il Canonico Gio Batta Gonetta, deceduto nel 1867, nella pagina 169 del manoscritto “Storia di Lunigiana”, scrive egualmente: “A Telaro stesso a poco a poco nato e cresciuto a piedi d’un presidio genovese là sorto nel 1300 si muniva pure di torre con voltona…”. Nell’elenco delle chiese del Vicariato di Lerici egli cita: “Telaro – Rettoria, S.Giorgio – Orat. Concezzione di Maria” (si noti come il Gonetta scrivesse invece Trebbiano con due <b>). Se l’etimologia derivasse da “telum”, cioè arma da getto, quindi fosse un piccolo fortino fatto di terra e palizzate, di origine romana, cosa in sé plausibile perché i Romani estraevano il ferro dalla miniera del Corvo, quella stessa miniera oggetto di contratto del 1281, riportato dal Poggi, con cui Rosso cedeva a Moruello un dodicesimo di detta miniera, giacente sul mare a mezza strada fra Barbazano e Santa Croce, si avrebbe sempre una sola <l>. Solo nel caso di etimologia sacra, dalla Dea Terra (Tèllus + ara) vi sarebbero state due <l>, ma la tradizione antica della scrittura non ha mai avuto la doppia <l>, che è emersa in tempi recenti. Questa etimologia sembrerebbe valida perché il toponimo paredro, che si rinviene nella Sicilia occidentale, ed è un idronimo, cioè un fiume, viene colà pronunciato come Tèllaro, mentre nell’Italia Settentrionale la nostra pronuncia è Télaro o Téllaro.
Giovanni Sercambi, nelle “Croniche”, narra di come alcune galee del re di Francia nell’agosto del 1410 “andaro a Telaro in nella Riviera di Genova”, ma furono respinte ed ebbero quaranta morti. Il Poggi, nei suoi libri “Lerici e il suo castello” scrive che nel 1483 figurano fra i discriminati della Guerra di Pietrasanta uomini di Telaro, ed ancora nel 1486 scrive che viene vietato “agli uomini di Telaro” di esportare i loro vini al di là della Magra. In atto del 24 Giugno 1676 del Notaro Giuseppe Steneri di Sarzana si leggono le pertinenze della “Opera di S.Giorgio di Telaro” (documento mostratomi dal prof. Ennio Silvestri di Ameglia). In atto del 5 Giugno 1713, che contiene una supplica dei capistrada telaresi Pietro Gerolamo Scordi e Carlo Bordigone si legge “di questo luogo del Telaro”. Il Canonico Gio Batta Gonetta, deceduto nel 1867, nella pagina 169 del manoscritto “Storia di Lunigiana”, scrive egualmente: “A Telaro stesso a poco a poco nato e cresciuto a piedi d’un presidio genovese là sorto nel 1300 si muniva pure di torre con voltona…”. Nell’elenco delle chiese del Vicariato di Lerici egli cita: “Telaro – Rettoria, S.Giorgio – Orat. Concezzione di Maria” (si noti come il Gonetta scrivesse invece Trebbiano con due <b>). Se l’etimologia derivasse da “telum”, cioè arma da getto, quindi fosse un piccolo fortino fatto di terra e palizzate, di origine romana, cosa in sé plausibile perché i Romani estraevano il ferro dalla miniera del Corvo, quella stessa miniera oggetto di contratto del 1281, riportato dal Poggi, con cui Rosso cedeva a Moruello un dodicesimo di detta miniera, giacente sul mare a mezza strada fra Barbazano e Santa Croce, si avrebbe sempre una sola <l>. Solo nel caso di etimologia sacra, dalla Dea Terra (Tèllus + ara) vi sarebbero state due <l>, ma la tradizione antica della scrittura non ha mai avuto la doppia <l>, che è emersa in tempi recenti. Questa etimologia sembrerebbe valida perché il toponimo paredro, che si rinviene nella Sicilia occidentale, ed è un idronimo, cioè un fiume, viene colà pronunciato come Tèllaro, mentre nell’Italia Settentrionale la nostra pronuncia è Télaro o Téllaro.